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Attenzione : questo film è
fortemente sconsigliato a :
-chi va al cinema per divertirsi
-chi va al cinema per Natale e Pasqua
-chi non ama essere sorpreso
-chi odia il teatro
-chi non sopporta i film lenti
Detto questo, io sono di quelli che considerano il danese un genio, e
questo film me ne da una ulteriore conferma.
Praticamente una trasposizione di teatro al cinema, completamente girato
in un teatro di posa, con una minuscola città con i perimetri delle case
e del resto solamente tracciate in terra, con solo qualche parete e
palizzata qua e là, il film prende a pretesto l'arrivo di una dolcissima
e graziosa fanciulla di nome Grace (una Kidman sempre più ispirata e
convincente), e dal passato misterioso, in circostanze ambigue, in una
apparentemente tranquilla e affiatata piccolissima comunità (Dogville
appunto), per narrare il passaggio dalla diffidenza alla schiavitù,
passando attraverso l'accettazione, la simpatia e l'egoismo, verso la
stessa Grace da parte della comunità. Ma c'è molto di più.E' quasi
un'indagine antropologico-comportamentale, una finestra sulla natura
umana, una riflessione sull'impossibilità della redenzione, sulla
negazione del perdono, sulla fine della speranza, su tutti i temi cari a
Von Trier, ma con un velo di nichilismo più forte. Finale agghiacciante,
con contrappassi danteschi e incorniciato dal dialogo grottesco/non-sense
tra Grace e il padre, il film che dura oltre due ore, pare sia stato
accorciato per l'Italia su richiesta della Medusa di circa 40 minuti.
Strepitosa la prova del cast. Un capolavoro ostico.
di: Ale |