In quel di Rosignano Solvay,
una ridente località della costa
tirrenica, che è armoniosamente inserita nel territorio della provincia labronica, nel
giorno di sabato, del 15 febbraio, dell’anno 2003, ha avuto luogo uno
splendido avvenimento per gli estimatori del ROCK PROGRESSIVO italiano.
La band italiana,
Premiata Forneria Marconi, meglio
conosciuta dal grande pubblico con l’acronimo PFM, si è esibita in un
fantasmagorico concerto, che è stato incluso nel tour per la celebrazione del trentennale
alla sua carriera musicale e discografica.
I mitici musicisti
Di Cioccio Franz (drum, percussion and
voice), Mussida Franco (guitars), Premoli Flavio (keyboards),
Djivas Patrick (bass)
e Fabbri Lucio (violin), hanno fatto esaltare la trepidante ed eccitata platea
di fans, che si era riunita all’interno del Teatro Solvay.
Alle 9 e 30 della sera, la folla spumeggiante e in attesa,
si è seduta sulle imbottite e comode, ma minute poltrone della sala. Riunitasi
in conciliaboli, si scambia, in linea, fra le file della sala, le proprie
opinioni,
esperienze e condivisioni in merito al gruppo musicale e ai suoi singoli
componenti, alle sue composizioni musicali e ai suoi concerti già eseguiti in
giro per il pianeta terra. In continuo fermento, pregustando lo spettacolo,
osserva ansiosa il palcoscenico, carico di strumenti musicali e di storia
sonora. Dopo quindici minuti, le luci della platea si attenuano, quindi si
accendono e prendono vita quelle della scenografia e finalmente entrano sul
proscenio, uscendo dalle quinte, i nostri unici e stimati idoli musicali del
panorama rock italiano.
Incomincia lo spettacolo! Gioia per le orecchie. Il
pubblico è trascinato all’istante in un turbinio di emozioni. Le note
percorrono tutto l’aere delimitato dalle vecchie mura del teatro. Colpiscono
con veemenza e persuasione, rimbalzano sulle pareti, sul soffitto e su tutti i
corpi che incontrano. Le interiora si contorcono per il desiderio al
coivolgimento. Ahinoi, siamo purtroppo costretti all’autocontrollo, per motivi
prettamente connessi a delle esigenze di arredo e architettoniche. Si avverte
così un certo stridore, fra l’ambiente circostante che ci ospita e il genere
musicale, per nulla compito. Composti in veste lirica e sfavillanti per le
scariche di adrenalina, ci troviamo combattuti. Possiamo solo rassegnarci ad una
sequela di scroscianti ed entusiasti applausi e di esclamazioni e locuzioni di
gradimento. “Bravi!”, “Sei un mito Franz!”, “Vai Francone!” e così
via.
I pezzi che
i componenti della band eseguono, ripercorrono tutta la loro storia musicale, da qui a trent’anni fa. Il loro esordio come gruppo PFM
risale all’anno 1971 come supporto agli Yes, che però non si avvale di
alcuna loro composizione, ma si fa ugualmente notare dagli esperti del
settore. La stoffa c’è. Poi arrivano i tempi della celebrità vera e propria.
Il loro primo album, che è nato con la collaborazione del notevole Mogol, è
intitolato “Storia di un minuto” e lascerà una traccia indelebile nello
scenario musicale italiano. Quindi è un crescendo di successi e rilevanti
traguardi.
Tutto ciò che è stato realizzato dal genio musicale
della PFM, adesso è alla nostra portata.
La mitica band esegue i propri brani più famosi: “La
rivoluzione”, “Maestro della Voce”, “River of life”, “Impressioni di
settembre”, “Celebration”, “La carrozza di hans”, “Suonare,
suonare”, “Dolcissima maria”.
L’incontenibile e goliardico
Franz si esibisce con la
sua amata batteria. Le bacchette si muovono ad un ritmo forsennato, si
scheggiano e si disintegrano all’impatto con le percussioni. In un lampo, la
mano del batterista le sostituisce con altre nuove, collocate nella
“cartucciera” che ha dietro la schiena, infilata nella cinta dei pantaloni.
Pezzo dopo pezzo. Solamente a vederlo, l’euforia dei fans, cresce. E’
indiscutibilmente il trascinatore del gruppo, il leader. Portento della natura.
Il suono e gli slanci si fondono, creando impressionanti esibizioni. Tutti
sappiamo quanto sia istintivo Franz. Introduce anche intermezzi di carattere
politico, esponendo la bandiera multicolore della pace. Sensibile anche agli
impegni umanitari. La voce solista del gruppo. Contestatore della politica
estera americana, che boicotta il suo gruppo, quando decidono nel ’75 di
partecipare ad un concerto romano a favore dell’OLP. Un torto che la PFM ha
subito quando erano in un periodo di crescita discografica. Se certi intralci
non ci fossero stati, probabilmente il nostro amato gruppo, sarebbe decollato
verso le americhe e le avrebbe indiscutibilmente conquistate. Noi italiani, così
piccoli, siamo anche la storia della musica. Onore al merito.
E poi il
Francone nazionale, con la sua chitarra (chissà
cosa ha impugnato quella sera, una Martin o una Yamaha o forse un’altra). Più
introspettivo e romantico del suo amico Franz. Negli assoli siamo stati consci
della sua eccelsa capacità di chitarrista. I pischellini odierni che si
cimentano con le corde, dovrebbero imparare da questa colonna della musica rock
planetaria. Umiltà, ragazzi, avvicinatevi con umiltà alla musica della PFM ed
imparerete sfumature strumentali che non vi passerebbero neppure per
l’anticamera della vostra materia grigia. I brividi che scaturiscono dalle
note emesse dalla chitarra, ci percorrono la colonna vertebrale, raggiungendo il
centro delle nostre emozioni. Esplode in un riverbero di immagini musicali.
Veniamo abbandonati, esterrefatti e frastornati, in un sabba rock, etnico e
immaginifico.
Stiamo ora alle tastiere con il bambino prodigio
Flavio.
Scintillante per la sua estrosità, per la sua ricerca musicale. Oggi fa un
esperienza, domani lo trovi impegnato su di un altro pianeta. In continuo
viaggio, attraverso i più impensabili spazi musicali. Con nuove iniziative.
Credo che la parola d’ordine di Flavio sia l’aggettivo “dinamico”. Su
quei tasti in bianco e nero, lui danza. Circondato dalle tastiere, come se fosse
dietro ad una barriera impenetrabile. Le note si alzano, volteggiano e
raggiungono livelli impercettibili, agli occhi di noi profani.
Andiamo agli accordi profondi del basso di
Patrick, che
con soavi scuotimenti, ci pervadono nel cuore e nei sensi. In disparte, con poca
appariscenza sul proscenio, zampillano suoni. Giungono a noi, pubblico assorto,
sprofondato nelle poltroncine della sala. Non riusciamo a ben distinguere
l’origine, ma siamo coscienti dell’estrema rilevanza del basso per la
riuscita dello spettacolo. E il nostro amico Patrick riesce a farlo vibrare,
elettrizzando ogni singolo atomo di cui è composto lo strumento.
Il dulcis in fundo è il violino di
Lucio. Con
l’immancabile assolo dall’overture del Guglielmo Tel di Rossini. Fusione tra
classico e rock. Chi dice che la bella musica di ogni genere, non si possa
contaminare? Quando c’è passione e capacità canora e strumentale, tutto può
accadere, basta avere il coraggio e osare, per rompere gli schemi e gli
archetipi. E loro, i nostri idoli della band PFM, lo hanno sempre fatto, anche
ora che hanno raggiunto la piena e completa fama.
Questo concerto della PFM, è stato un altro stupefacente
successo. Negli spettatori ha lasciato un segno indimenticabile. Quando i nostri
beniamini sono passati dietro le quinte, dopo poco più di due ore tirate,
nessuno ha voluto abbandonare la sala del teatro, nella speranza di un bis. Le
luci della scena hanno giocato con la nostra trepidante attesa. Ci hanno
abbagliato, ma ci hanno concesso quanto desideravamo. Poi purtroppo è finito.
Siamo usciti fuori dall’edificio, abbiamo guidato con ancora i sensi pervasi
da questa irripetibile esperienza. E’ terminato tutto? No, è iniziata una
nuova stagione, “Si può fare”!
Scritto,
redatto e impaginato da Aurelio di Rosignano
per contattarmi geoturini@libero.it
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