Sigur
Ros Live
Prato
- Museo Pecci
Martedì 24 giugno 03
Anfiteatro
del Pecci pieno, un migliaio di persone, letteralmente in delirio, per
il ritorno, questa volta estivo, dei Sigur Ros. Premetto che prima del
concerto avevo ascoltato si e no 2 pezzi degli islandesi. I Sigur Ros
sul palco sono 8, con formazione semi-tradizionale più quartetto
d'archi; semi-tradizionale perché il cantante-chitarrista (chitarra che
spesso suona con l'archetto da violino) ogni tanto suona una tastiera,
il batterista ogni tanto va al campionatore, il tastierista ogni tanto
suona la chitarra e il bassista ogni tanto suona un'altra tastiera;
mettiamo nel conto che 2 ragazze del quartetto d'archi in un pezzo
suonano tastiere e campionatore, e otteniamo un combo quasi
intercambiabile. C'è stato un momento nel quale i 4 ragazzi erano tutti
intorno alla "catasta" di tastiere e campionatori. Sullo
schermo dietro al tutto, non sempre, vengono proiettate immagini;
elettrodotti, bambini che giocano tra i fiori.
Detta
così, sa di freddo. E invece la musica, e le sensazioni che i Sigur Ros
trasmettono con la loro musica sono caldissime, e non c'è nessuna
ironia sulla temperatura della stagione. Nonostante le composizioni di
10 minuti l'una, i ritmi quasi sempre lentissimi, eterei, la voce del
cantante (questa si, davvero non intercambiabile), stentorea, quasi
femminile, che dà ai pezzi un incedere sinfonico insieme agli archi, il
concerto appassiona, e si vorrebbe non finisse mai. É immediato il
paragone con i Radiohead di "Kid A" e "Amnesiac"; ma
se è vero che suonano da un po', non sarà mica accaduto il contrario?
È
un concerto rock? Forse. Il pubblico è piuttosto rock, ma il silenzio
che si crea durante le esecuzioni non è rock.Perfino gli applausi al
termine dei pezzi, partono timidi, timidissimi. Ma allora è pop.
Assolutamente no.
Forse
in preda al caldo, ho fatto questa riflessione mentre li guardavo. Pare
non esserci rabbia in questa musica, a differenza di tutta l'altra
musica rock. Ma, come detto prima, la musica dei Sigur Ros non è
neppure pop (genere dove appunto, non c'è rabbia), perché non è
immediata e "facile". Partendo dal presupposto che l'ambiente
genera i suoi prodotti, tra i quali la musica, evidentemente questa
musica così "viscerale" e che ti arriva dritta al cuore, è
il suono dell'Islanda, un po' come la "Joga" di Björk; il
suono di un mondo dove la natura ti mozza il fiato, e dove viene
rispettata per davvero, dove la parola "pace" ha un senso,
dove si convive con la tecnologia senza affogarvi.Un mondo giusto, in
poche parole. Quindi, forse, questa è la musica che faranno tutti, se
finalmente, avremo un mondo giusto.
Troppo
cerebrale? Forse. Ma appoggiandomi a questa idea, ho "letto"
la schitarrata (con l'archetto) improvvisa con l'entrata violentissima
di batteria. Era un geyser. E il pezzo conclusivo, ossessivo, con la
batteria a mo' di percussioni tribali. Questo è come "loro"
vedono il resto del mondo, di corsa, ingiusto, comandato dalla
televisione. Mentre pensavo questo, rimane l'ultima immagine sullo
schermo. Una trasmissione tv interrotta, il grigiore dello schermo e le
righe orizzontali.
Richiamati
a gran voce, esauriti i pezzi in scaletta, gli islandesi tornano 2 volte
sul palco per eseguire un inchino teatrale e applaudire il pubblico che
li applaude.
Mentre rientrano li guardo dall'alto.
Sembrano folletti.
Ale